Con Peterson uno scudetto alla Virtus, poi all`Olimpia: “Giocatore totale. Mi chiedeva di marcare il più forte”
In una mattina di fine settembre 2024, Marco Bonamico era presente sul palco, affiancato da Vittorio Gallinari e Renato Villalta, proprio come centinaia di volte sui campi da basket tra Bologna, Milano e la Nazionale. Sembrava un ritorno ai gloriosi tempi di medaglie e trofei, ma la loro presenza era per celebrare l`ingresso di Dan Peterson nella FIBA Hall of Fame. Peterson, il Coach, figura che connette epoche recenti della nostra pallacanestro, oggi piange la scomparsa di una parte della sua carriera, di una parte della sua vita. “Spiegare quanto ho amato Marco Bonamico è un debito inestinguibile. Ho parlato con Renato Villalta, che mi ha detto di aver perso un fratello. Per me è come aver perso un figlio… In cinquant’anni di interviste e articoli, questo è il momento più difficile.”
Chi era Bonamico, per chi non l`ha visto giocare?
“Un Marine. Non temeva nulla né nessuno; ogni partita era per lui come lo sbarco a Iwo Jima. Posso assicurare che un allenatore incontra pochi giocatori così. Lo conobbi nel 1973. Vittorio Ferracini era tornato a Milano dopo il prestito a Bologna, e decidemmo di inserire in squadra questo giovane. Aveva solo 16 anni. Fu l`inizio di una carriera da protagonista.”
Da lì avete condiviso un lungo percorso, prima la Virtus, poi l’Olimpia.
“Se chiudo gli occhi, mi affiorano due ricordi vividi. Stagione 1974-75. Marco, a soli 17 anni, era irriconoscibile. Non aveva semplicemente progredito, ma era decollato come un razzo da Cape Canaveral; io, da allenatore, faticavo a stargli dietro. A Udine, all`inizio del campionato, lo schierai in quintetto e combinò un disastro. Tornato in panchina, lo provocai sorridendo: `Sei sfortunato. La prossima settimana giochiamo in casa contro Siena: ti farò partire di nuovo in quintetto.` Il risultato fu uno spettacolo di schiacciate, difesa e dominio. Al mio terzo anno alla Virtus, nel 1976, affrontammo a Varese una partita cruciale per la poule scudetto contro una squadra imbattuta in casa, vincitrice della Coppa Campioni pochi mesi prima contro il Real Madrid, sembravano i Boston Celtics… La situazione si complicò con il quinto fallo del nostro pivot Gigi Serafini a metà partita. Decisi di spostare Terry Driscoll su Meneghin e Marco si occupò di Bob Morse, un attaccante straordinario. Con uno, due, tre sfondamenti, lo fece impazzire, annullandolo. Ma c`è un altro aspetto importante…”
Quale?
“Bonamico in quella partita segnò punti cruciali. Certo, era un maestro in difesa, ed è per questo che tutti lo ricordano. Ma le partite vinte grazie a un suo tiro all`ultimo secondo non furono poche. Nella stagione 1988-89, quando ero general manager della Virtus, lo ripresi da Napoli e avevamo Bob Hill come coach. Giocavamo a Venezia, in Coppa Italia, eravamo sotto di tre punti e Marco ci portò ai supplementari con una tripla. Era un giocatore completo, voleva marcare gli avversari più forti, dicendo `Coach, ci penso io`, ma era altrettanto capace di essere decisivo con un canestro o con una giocata difensiva. Meneghin a Milano, Bonamico a Bologna, entrambi nati il 18 gennaio, seppur in anni diversi: giocatori rari, campioni unici. Nel 1976, l`Università di Duke lo voleva, era tutto pronto, ma lui scelse di rimanere in Italia.”
Nel 1979 il passaggio a Milano, sempre con lei in panchina: semifinale persa contro Cantù.
“Non vincemmo lo scudetto quell`anno, ma alla fine di quella stagione Marco conquistò l`argento olimpico a Mosca con la Nazionale. È stata una gioia allenarlo; ogni trasferta, ogni allenamento, ogni giorno con lui è un ricordo prezioso. Era un leader nello spogliatoio, parlava un inglese fluente, facilitando la comunicazione con gli stranieri. Dopo una sconfitta contro Brescia in cui giocò male, si assunse le colpe e riuscì a sdrammatizzare, aiutandoci a superare quel momento di piccola crisi. Aveva carattere, era un vero leader. Un lungo moderno, agile di piedi e di mente, un atleta straordinario. Allenarlo è stata una grande soddisfazione.”
Dopo la carriera da giocatore è rimasto una figura chiave per il movimento.
“Il suo contributo al sindacato dei giocatori fu inestimabile. E non mi sorprese affatto: aveva l`audacia e la personalità per confrontarsi con presidenti come Porelli alla Virtus e trattare alla pari con tutti. Era una sua qualità innata. Come commentatore tecnico, ha affiancato Franco Lauro nel racconto di momenti indimenticabili, partite e vittorie dell`Italia di cui ancora oggi si parla. Ci sono molti motivi per ricordare il nome di Marco Bonamico, e sono orgoglioso di averlo conosciuto e di essere stato suo amico.”
Questa è l’estate dell’azzurro: dalle medaglie giovanili a quella della nazionale femminile, aspettando la squadra di Pozzecco impegnata nell’Europeo che scatta a fine mese.
“Marco era profondamente legato alla maglia azzurra. In Nazionale, ha vinto un Europeo e un argento olimpico, ma ricordo anche Los Angeles 1984, quando l`Italia, allenata da Sandro Gamba, si classificò quinta. Sarebbe meraviglioso vedere gli azzurri dedicare a Bonamico un grande risultato. Se lo meriterebbe.”