Lun. Ago 25th, 2025

Tanjevic Ricorda: L’Oro del 1999, La Scelta di Pozzecco e i Suoi Campioni

L`ex commissario tecnico della Nazionale italiana di basket, vincitrice dell`Europeo 1999, condivide i ricordi di quella storica impresa, dalla difficile decisione su Pozzecco alla gestione degli ego in squadra.

Dalla sua residenza triestina, abbracciando la nipote Giulia, Bogdan Tanjevic ripercorre le tappe di una carriera straordinaria. Questo `cittadino del mondo`, l`unico ad aver guidato quattro Nazionali e ultimo tecnico ad aver conquistato l`oro europeo con l`Italia nel 1999, riflette sulla sua audacia decisionale. «Non ho mai temuto la pressione o le ripercussioni delle mie scelte, proprio come in campo: bisogna agire prontamente. Sebbene sia un gioco, ha un peso significativo, poiché le aspettative e la quotidianità di chi ci segue dipendono da noi», afferma.

Eppure, la strada verso il trionfo iniziò con una decisione controversa: l`esclusione di Gianmarco Pozzecco, allora ritenuto il miglior giocatore del campionato. Qualcuno credeva davvero in quella squadra alla vigilia del torneo?

«In pochi», risponde Tanjevic. «La mia decisione di non includere Pozzecco scatenò un vero e proprio scandalo mediatico. Era l`indiscusso fuoriclasse della Serie A, la stella di Varese che aveva condotto la squadra a un sorprendente Scudetto. Ammiravo il suo coraggio e la sua velocità, la sua unicità tecnica mi affascinava. Tuttavia, non era il tipo di playmaker adatto a quella squadra, non per la mia visione di come doveva essere controllata la partita. Per valorizzarlo avrei dovuto riplasmare l`intero assetto di gioco, e questo non era funzionale. Lui stesso faticava ad accettare la situazione, creando un certo malcontento e scetticismo intorno alla squadra.»

Il Segretario Generale della FIBA, Bora Stankovic, si congratula con l`allenatore italiano Bogdan Tanjevic mentre la squadra festeggia la vittoria del Campionato Europeo di basket a Parigi, 3 luglio 1999.
Il Segretario Generale della FIBA, Bora Stankovic, si congratula con l`allenatore italiano Bogdan Tanjevic mentre la squadra festeggia la vittoria del Campionato Europeo di basket a Parigi, 3 luglio 1999.

Come siete riusciti a convertire questa iniziale negatività in una forza propulsiva?

«Iniziammo il torneo perdendo una partita già data per vinta contro la Croazia. In quel frangente, l`idea di un grande successo sembrava remota. Anche nelle fasi successive, fummo dominati da una straordinaria Lituania. Tuttavia, a partire dai quarti di finale contro la Russia, la situazione cambiò radicalmente: la squadra si cementò. Lo stesso accadde contro la Jugoslavia e poi in finale contro la Spagna. A quel punto, eravamo sereni, liberi da ogni dubbio e giocammo di conseguenza. Questo era il mio metodo di allenamento per tutte le squadre: chiedevo ai giocatori di `scontare` un po` il loro ego per creare un`armonia collettiva di dodici individui. A Myers, un talento eccezionale, chiedevo anche un impegno difensivo robusto. In questo modo, riuscivo a far sentire ogni membro della squadra parte integrante della vittoria.»

Quale eredità ha lasciato quella storica Nazionale?

«Principalmente, ha insegnato a non temere la Jugoslavia, la cui tradizione cestistica prosegue oggi con la Serbia. Contro quella squadra formidabile, in nove incontri distribuiti su quattro anni, ne vincemmo ben otto. Si era sviluppata una forte autostima all`interno del gruppo.»

Ha poi ricucito i rapporti con Pozzecco?

«Io e Gianmarco condividiamo molte somiglianze caratteriali. Sono amico di suo padre Franco, e avevo un legame stretto anche con il figlio. Ricordo di essere stato tra i primi a chiamare Gianmarco quando iniziò la carriera da allenatore, dicendogli: `Poz, ora dovrai fare l`esatto opposto di ciò che hai sempre pensato`. Lui si divertì molto. Ormai, quando ci incontriamo, sono solo abbracci e saluti affettuosi.»

Avrebbe mai immaginato di assumere il ruolo di commissario tecnico della Nazionale italiana?

«Assolutamente no. Il presidente Maggiò mi convocò a Caserta quando avevo solo 35 anni. Desiderava il selezionatore della Jugoslavia, e inseguiva la promozione in Serie A1 da molto tempo. Quando mi presentai, si aspettava qualcuno del calibro di Cesare Rubini; invece, arrivai io, che all`epoca sembravo ancora un giocatore!»

Quali aspetti ha amato di più delle sue esperienze nel basket italiano, tra Caserta, Trieste e Milano?

«Il mio sogno, da sempre, è stato quello di ricreare la magia vissuta al Bosna Sarajevo: il prodigio di vincere tutto partendo da giocatori relativamente sconosciuti. A Caserta, con la Stefanel Milano e a Trieste, mi sono avvicinato molto a quel traguardo. A Milano, in particolare, sentivo che c`era qualcosa di speciale; se avessimo continuato insieme per un altro anno o due, avremmo conquistato la Coppa dei Campioni. Ricordo che chiamavo le partite più importanti `Omaha Beach`, paragonandole a uno sbarco in territorio nemico.»

Bogdan Tanjevic e Dino Meneghin insieme.
Bogdan Tanjevic e Dino Meneghin insieme.

Lei è spesso descritto come un intellettuale della panchina.

«La mia formazione non si limita al campo di gioco; sono appassionato di letteratura, di studio… Tutto ciò si rivela utile, specialmente quando si tratta di guidare un gruppo di persone lungo un percorso. Si tratta di immergersi nelle vite degli altri: comprendere i loro desideri, le loro necessità e le loro paure permette di alleggerirli, prendendo su di sé i loro timori. L`incoraggiamento diventa più autentico quando si conoscono a fondo le diverse esperienze e i destini individuali. Alla base di tutto c`è la sincerità.»

Bogdan Tanjevic e Dino Meneghin insieme.
Bogdan Tanjevic e Dino Meneghin insieme.

Quali sono stati i veri talenti eccezionali che ha avuto l`onore di allenare?

«Sono davvero tanti. Ho avuto il privilegio di lavorare con uomini e giocatori straordinari. Basti pensare che ho allenato Dino Meneghin per tre anni: un motivo di orgoglio immenso! Per me, per la sua nobiltà d`animo, la sua educazione, modestia e onestà, sarebbe un magnifico Presidente della Repubblica.»

Era solito dire ai suoi giocatori: «Non nascondetevi dietro di me».

«Esattamente. Non dovevano aspettarsi che facessi magie negli ultimi minuti di gioco. La mia filosofia era: prendete la situazione in mano, o ce la fate o non ce la fate. Non c`è nulla da aspettare, tirate. Il concetto di `assumersi la responsabilità` non mi è mai piaciuto. Tirare è una responsabilità? Tira e basta. Volevo sollevarli da questo fardello. E impedivo loro di leggere i giornali!»

Serve coraggio per dare spazio ai giovani talenti?

«Io stesso fui inserito in prima squadra a 17 anni, giocavo come playmaker e non venivo mai sostituito. Ero consapevole di aver ripagato la fiducia. Perché non avrei dovuto agire allo stesso modo con i miei giocatori, credendo nelle loro capacità?»

Qual è la sua opinione sull`attuale Nazionale?

«Vedo nuove figure con ruoli significativi, e questo mi aggrada. L`assenza di Tonut in piena forma si farà sentire, è un giocatore rapido ed eccellente in difesa, sarebbe stato prezioso. Niang emergerà come un giocatore con caratteristiche speciali, e in Diouf vedo un buon `lungo` già di rilievo. Abbiamo fisicità.»

By Lorenzo Valli

Lorenzo Valli abita a Bologna e si dedica alle notizie sportive italiane. Specializzato in volley e automobilismo, sa unire dati e emozioni nei suoi articoli.

Related Post